La proposta del ministro Speranza di abrogare il superticket va nella giusta direzione e anche l’idea della rimodulazione della compartecipazione risponde a quanto scritto nel Patto per la salute 2014-2016, finora mai applicato. Lo afferma il portavoce della Fnopi Tonino Aceti, secondo cui sono tre i buoni motivi per abolire il superticket.
Il primo è che rappresenterebbe una misura in grado di facilitare concretamente facilitare l’accesso alle cure da parte dei cittadini salvaguardandone al tempo stessi i relativi redditi, visto che sono quattro milioni secondo l’Istat le persone che rinunciano alle cure per motivi economici.
Il secondo motivo attiene al fatto che ci sono troppe differenze che alimentano e rafforzano le disuguaglianze in sanità. Infatti, le scelte regionali sull’applicazione della quota fissa sulle prestazioni della specialistica(il cosiddetto superticket) sono davvero molto diversificate. Anche la spesa pro capite 2018 rispetto al totale delle compartecipazioni (farmaci, specialistica, pronto soccorso, altre prestazioni)è caratterizzata da profonde differenze: 33,7 euro la Sardegna, 41,1 euro la Calabria, 53,8 euro l’Abruzzo, 61 euro l’Umbria, 90 euro la Valle D’Aosta.
Infine, alcune prestazioni ricomprese nei Livelli Essenziali di Assistenza, soprattutto quelle rientranti nella cosiddetta “specialistica”, proprio a causa dell’effetto superticket sono persino più costose della stessa prestazione effettuata nel canale privato. Un fenomeno che contribuisce ad aumentare quella spesa “out of pocket” delle famiglie che nel 2017 si attesta complessivamente a circa 39 miliardi di euro.
Per Aceti “ciò che serve è una riforma complessiva del sistema dei ticket sanitari che garantisca il giusto greep del Servizio Sanitario nazionale nei confronti dei cittadini attraverso livelli di ticket accettabili e sempre più convenienti rispetto al canale privato, che riduca le eccessive differenze che oggi caratterizzano le normative regionali e che riaffermi l’equità nel sistema”.
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